Quest’articolo fa parte della serie “LA VERSIONE DI Zeta“
L’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, costringendo interi settori al fermo delle attività produttive, sta generando una crisi economica senza precedenti, differente dalle bolle speculative dei mercati finanziari che abbiamo vissuto nel passato, anche recente. Stiamo infatti assistendo a un collasso dell’economia reale che fa avvicinare questo momento a uno scenario di guerra, immagine non a caso evocata da molti nelle ultime settimane.
Vari sono i fattori che hanno determinato l’eccezionalità della situazione. Innanzitutto, l’accadimento di un evento, inaspettato ma comunque prevedibile, a cui avremmo dovuto essere preparati. Di non secondaria importanza, poi, la repentinità con cui il virus si è diffuso, facendo comprendere a tutti che la globalizzazione non è un semplice modo di dire ma un sistema che si riflette quotidianamente sulla vita di ciascuno di noi. L’insieme di inestricabili relazioni fra i popoli dovrebbe incoraggiare gli Stati, quantomeno per reciproca convenienza, a cooperare; stiamo invece assistendo all’affermazione di logiche di localismo che, alimentate da egoismo e miopi interessi, non aiutano certo a trovare una via d’uscita.
I rimedi normalmente impiegati a favore delle imprese, pur necessari, sono in questo caso purtroppo insufficienti perché la congiuntura negativa che si è determinata non è originata da fenomeni di natura finanziaria ma deriva da problematiche di conto economico. Infatti, un numero significativo di aziende ha subito un azzeramento dei ricavi e quanto perso per strada non potrà essere recuperato in futuro; si pensi al trasporto aereo, al turismo, alla ristorazione e a tanti altri ambiti produttivi. Stessa sorte e con un impatto immediato ancora più drammatico la stanno vivendo professionisti, artigiani ed esercizi commerciali. Tutti sono obbligati a intaccare il patrimonio non sapendo però quanto a lungo durerà l’emergenza e non potendo pertanto fare previsioni attendibili sul futuro. Si sta quindi delineando un quadro di recessione globale che presenta dimensioni e tratti ignoti a tutti. Fondamentale è evitare un’altra Grande depressione e l’apertura di un terzo fronte, dopo il sanitario e l’economico, quello dell’ordine sociale. Se istituzioni, economisti e politici hanno il non facile compito di trovare le contromisure più appropriate, ritengo però che sia dovere di ciascuno di noi dare un contributo di idee in base alle proprie esperienze e competenze.
Da uomo d’azienda posso dire, soprattutto qualora si voglia cogliere l’occasione per tramutare una minaccia in opportunità, che i pur necessari provvedimenti, incentrati sul sostegno finanziario alle imprese, hanno bisogno di un terreno fertile per poter dare i propri frutti. Per vincere un campionato, è sicuramente rilevante l’ammontare dei soldi da investire ma lo è ancor di più avere un bravo allenatore, un gruppo ben amalgamato di validi giocatori e un’organizzazione di gioco che ne esalti le caratteristiche. Traslando questi concetti nel mondo delle aziende, nella mia esperienza ho riscontrato che numerose crisi di impresa sono originate non tanto dalla penuria di capitali quanto piuttosto da scelte sbagliate, causate dalla carenza di managerialità e di adeguati principi organizzativi. Numerosi sono i casi di conduzioni personalistiche in cui le decisioni vengono sostanzialmente assunte dall’imprenditore sulla scorta di quella che è la qualità imprescindibile di questa figura: l’intuito personale. L’imprenditore lungimirante però è quello che, pur mosso da istinto e intuizioni, sottopone a verifica le proprie strategie e iniziative, valutando la loro redditività e rischiosità in modo razionale. Come ho avuto già modo di scrivere, l’impresa non può esistere senza l’imprenditore con il suo intuito e le altre qualità che lo rendono tale: la passione, la visione strategica, la creatività. Per fare azienda, però, sono necessarie anche quelle capacità organizzative, gestionali e specialistiche proprie del manager e di altre figure professionali, accompagnate dal personale bagaglio di esperienze, di metodi e strumenti di lavoro.
Queste riflessioni mi portano pertanto a lanciare una proposta: doniamo alle nostre aziende managerialità e professionalità.
In questi giorni, alcuni gruppi quotati, importanti società di consulenza e primari studi professionali si sono attivati per raccogliere fondi da destinare alla sanità. A chi ha promosso queste lodevoli iniziative di solidarietà deve andare il plauso di tutti. A mio avviso, però, terminata la fase emergenziale sotto l’aspetto sanitario, queste realtà potrebbero contribuire in maniera ancora più efficace alla ripartenza del Paese, mettendo gratuitamente a disposizione una quota, anche minima, delle proprie risorse intellettuali a favore di aziende bisognose. Una splendida occasione, soprattutto per quelle di piccola e media dimensione che potrebbero finalmente beneficiare di professionalità il cui accesso è solitamente a loro impedito a causa dell’elevato costo. Innumerevoli sono gli ambiti della gestione in cui potrebbero essere accompagnate da questo supporto professionale e manageriale esterno; si pensi ad esempio, solo per citare alcuni titoli, al rinnovamento tecnologico, allo snellimento dei processi, all’introduzione di strumenti di controllo, al risk management, all’assistenza nel percorso di internazionalizzazione, ai fabbisogni formativi.
L’iniezione nel sistema di qualificate risorse professionali e manageriali rappresenterebbe un eccezionale volano che amplificherebbe la portata degli apporti finanziari. Aiutare le aziende in questa fase critica e anzi rafforzarle, in modo che siano in grado di affrontare il mercato e di superare gli imprevisti, è interesse di tutti e il ritorno di un siffatto investimento è elevatissimo. Infatti, irrobustire il tessuto imprenditoriale significa avere in futuro relazioni con aziende clienti e fornitrici più solide, efficienti e di dimensione maggiore, con ovvie ricadute positive per tutti gli operatori economici del sistema. Le aziende inoltre, come le persone e i popoli, hanno memoria e chi oggi è aiutato in un momento di difficoltà sarà il primo che un domani correrà in soccorso di colui che l’ha salvato. È proprio di questi giorni l’arrivo in Italia di una squadra di medici e infermieri volontari provenienti dall’Albania, salutati alla partenza dal loro primo ministro che ha ricordato, in un commovente discorso, il debito di riconoscenza che il popolo albanese ha nei confronti dell’Italia.
All’appello e allo slogan #adottiamoun’azienda potrebbero rispondere anche qualificati professionisti d’azienda, manager che hanno deciso di avviare iniziative in proprio e dirigenti oramai in pensione, spesso estromessi troppo presto dal mondo del lavoro ma che tanto possono ancora dare in termini di esperienza ed equilibrio. Viene alla mente il film “Lo stagista inaspettato” in cui Robert De Niro interpreta un pensionato che si rimette in gioco, quale attempato stagista, in un’azienda creata e guidata da una giovane imprenditrice; quest’ultima scoprirà l’utilità di avere accanto qualcuno disinteressato e competente, uno specchio parlante che, come nella nota fiaba, non ha paura di dire la verità. Alla disponibilità di volontari, dovrebbe quindi corrispondere una genuina adesione e un’apertura dell’imprenditore a ricevere tale forma di solidarietà “inaspettata”.
Questo investimento in cooperazione, basato su una solidale condivisione di esperienze e competenze, pur limitato per sua stessa natura, contribuirebbe a un generale arricchimento della cultura d’impresa, proponendo un modello di azienda ben governata e organizzata, insieme a un sistema in cui le risorse finanziarie sono indirizzate verso le realtà più meritevoli.
In questo momento vorremmo tutti sentirci utili ma, purtroppo, non possiamo fare altro che aspettare la fine dell’emergenza. Ci commuoviamo nel vedere chi si è caricato dell’onere di mandare avanti il Paese, pensando alla salute, all’alimentazione e alla sicurezza di tutti noi. Proviamo un senso di impotenza nello stare seduti davanti alla televisione senza poter agire e un sentimento di disagio nel pensare che il massimo contributo che ci viene richiesto è quello di rimanere in casa. Vorremmo mettere a disposizione le nostre energie, esperienze e competenze e non vediamo l’ora che ciò avvenga.
Le cronache di questi giorni ci hanno trasmesso la fierezza della c.d. Brigata cubana, la squadra dei medici e infermieri venuta in aiuto del nostro personale sanitario. Perché, pertanto, non immaginarci come un’armata di imprenditori, manager e professionisti impegnati in un insolito volontariato volto a salvare la vita delle aziende? Otterremmo così il rispetto di tutti, non per il prestigio dovuto al ruolo o al denaro, ma perché avremo saputo meritare la considerazione del prossimo con professionalità e umanità.
Laureato in Economia e Commercio presso l’Università La Sapienza di Roma, è Dottore Commercialista e Revisore Legale.
A fine 2015 ha fondato la PMD di cui è Presidente.
Ha svolto, con responsabilità crescenti, il ruolo di CFO e altri ruoli manageriali di rilievo in alcuni importanti Gruppi del Paese: Telecom Italia, Finmeccanica, Poste Italiane, ILVA.