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LE AZIENDE CLASSIFICATE UTP NELLA CRISI COVID – 19

Secondo una recente analisi di Cerved di marzo scorso (Osservatorio 4° q. – n. 41) nel corso dell’esercizio scorso (2019) sono uscite dal mercato (a seguito di una procedura concorsuale o di una liquidazione volontaria) 90.649 imprese, un dato sostanzialmente in linea con quello del 2018 (+0,4%). Nello stesso studio emerge che nel terzo e quarto trimestre dello scorso esercizio i fallimenti sono risultati in crescita, con incrementi nei settori economici dell’industria e dei servizi (dopo 15 trimestri consecutivi di calo ininterrotto).

Come riportato nelle tabelle seguenti, oltre alla eterogeneità delle modalità di chiusura delle imprese, l’andamento risulta molto eterogeneo a livello territoriale e settoriale.

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In questo scenario, l’emergenza sanitaria cd COVID-19 incide in modo devastante: secondo tutti i principali centri di ricerca economici e società di consulenza (Euromonitor International, BCG, Svimez, Cerved, McKinsey, Duff & Phelps, Financial Times, ecc.) siamo in presenza di un’importante “downside” economico che riguarderà l’intero esercizio 2020 e parte (non irrilevante) del 2021.

L’impatto dell’emergenza sanitaria avrà impatti importanti sulle economie mondiali e sull’export e l’effetto principale, inevitabile, sarà quello di colpire le imprese operanti nei settori fortemente esposti con l’estero, sia in termini di export, sia in termini di approvvigionamento (supply chain). Inoltre, bisogna tenere conto che, come indicato nelle ricerche del Cerved, per le aziende manufatturiere esiste la concreta possibilità di perdere, almeno nel breve termine, posizioni verso i propri concorrenti internazionali.

Le stime dell’impatto del COVID-19 sui ricavi delle imprese italiane sono riportate nelle tabelle di seguito riportate:

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Come indicato nello studio dello Svimez 1 gli impatti sociali ed economici della crisi si sono, peraltro, estesi a pezzi sempre più ampi del tessuto produttivo per effetto del progressivo inasprimento delle misure introdotte per contenere l’emergenza epidemiologica. Queste cono culminate, come correttamente osservato nello studio in parola, nella chiusura delle attività di commercio al dettaglio – ad eccezione di quelle legate alla vendita di generi alimentari e di prima necessità –, nel blocco della produzione in tutti i settori diversi da quelli connessi alla filiera dell’agroalimentare ed alla fornitura dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali.

Su un punto tutti gli studi economici convergono: nell’anno in corso, lo shock congiunto della domanda e dell’offerta si è propagato con inedita pervasività, trasversalmente a settori, territori, imprese e lavoratori. Si assisterà, pertanto, con elevata probabilità ad una stagnazione economica con possibile “rimbalzo” a partire dal secondo trimestre 2021.Come osserva lo Svimez, ci troviamo di fronte ad una “modalità di diffusione della crisi così capillare di portare molti osservatori a confrontare l’attuale ”lockdown”con quello tipico delle economie di guerra”.

Nella tabella seguente (Euromonitor International) è evidente quanto appena decritto:

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Tutto questo inciderà in modo significativo sulle imprese nazionali, in particolare le PMI, notoriamente sottocapitalizzate e con un’esposizione delle proprie fonti di finanziamento per circa l’80% verso il sistema bancario.

Da rilevazioni PMD S.r.l. e ricerche empiriche ed accademiche, è risultato che numerosissime imprese, in particolare PMI e medio-grandi, abbiano – all’attualità – un indebitamento finanziario molto elevato, ai limiti della sopravvivenza; queste imprese hanno fonti di finanziamento significativamente bancocentriche (stimate in circa l’85% circa della struttura finanziaria passiva). Se a questa considerazione, si aggiunge anche quella che molte aziende in crisi si trovano ad avere i propri debiti classificati come UTP (come di seguito definiti), si può ben immaginare lo scenario di non corretta struttura finanziaria delle imprese in cui impatta, in maniera molto significativa, la pandemia economica derivante dal COVID-19.

La stima dei crediti lordi cd. UTP (“Unlike-to-Pay”, così classificati sulla base della normativa domestica della Banca d’Italia 2 in aderenza ai regolamenti EU in relazione al Capital Requirements Regulation”
3, antecedente al COVID -19, è superiore a € 70 bln nel 2019 (PwC “The Italian NPL Market”, dicembre 2019); si tratta di un ammontare ingente di crediti vantati dal sistema bancario e considerati “probabili insolvenze”.

In questo scenario macroeconomico, quindi, non può non destare preoccupazione il fatto che una parte non insignificante del sistema produttivo del nostro Paese, in base al recente “Decreto Liquidità” pubblicato il 9 aprile u.s., risulti “tagliato” sostanzialmente fuori dalle misure di sostegno previste (fanno difatti eccezione le sole imprese classificate dal sistema bancario dopo il 31 gennaio 2020, sottintendendo la specifica previsione della norma che tali aziende rientrano tra quelle destinatarie del provvedimento in quanto hanno subito un deterioramento per effetto della pandemia).

Nella famiglia degli UTP rientrano, come prima emrginato, quelle aziende attive e vive che, hanno manifestato (o manifestano) delle difficoltà economico-finanziarie, richiedendo ai propri creditori degli accordi funzionali all’implementazione di piani di risanamento.

Al pari di quelle in bonis sono, quindi, aziende che stanno soffrendo il fermo produttivo che si riverbererà necessariamente sulla gestione finanziaria di medio-lungo termine e sulla tesoreria; la differenza è che su di esse l’impatto è ancora più pesante. In altri termini, in questi casi piove sul bagnato.

Non dare modo agli UTP di avere accesso a delle fonti che assicurino un ripristino della liquidità è, facendo un paragone con la più nobile scienza medica, negare ad un paziente con patologie pregresse e colpito dal Covid19 di accedere alla terapia intensiva.

Tornando ad occuparci di economia e finanza d’azienda, non sfugge che l’eventuale accesso a nuove forme di finanziamento, garantite o meno che siano, aggiunge un nuovo stock di debito a quello preesistente, che già di per se aveva generato una situazione di squilibrio.

Ed allora, per valutarne la sostenibilità, unitamente alla necessità di prendere in considerazione un arco di tempo di lungo/lunghissimo termine per il rimborso, l’ottica dovrà prioritariamente spostarsi dal finanziario all’economico, valutando innanzitutto, obiettivamente e crudamente, se il prodotto/servizio offerto abbia ancora una sua ragion d’essere (una catena di fast food tra quanto tempo sarà di nuovo pieno di avventori che mangiano gomito a gomito? E volendo/potendo riaprire rispettando il distanziamento sociale, consentirà di operare in equilibrio economico? E quali ripercussioni avrà su tutte le relazioni B2B che aveva in essere?) .

Se la risposta alla prima domanda è “si”, occorrerà passare in rassegna le modifiche da apportare al proprio business model nella sua interezza, per valutare come far fronte ad uno scenario esterno profondamento mutato ed in fase di ulteriori cambiamenti, in una dinamica che interesserà quanto meno il medio termine, prima di presentare segni di stabilizzazione.

L’adeguamento avrà quindi natura di processo, in una costante risposta ai cambiamenti della supply chain e della domanda. L’azienda dovrà dotarsi di una cabina di regia abile ed in grado di elaborare strategie di modifiche e/o diversificazione dei prodotti così come della dimensione delle componenti della sua organizzazione, dell’apparato produttivo e delle strategie di approvvigionamento.

E’ molto probabile che, in un tale contesto, la rivisitazione del management team sia la priorità numero uno: un bravo pilota di motoscafi off-shore, abituato a navigare oltre i 70 nodi, probabilmente non è la persona più adatta a governare un’imbarcazione nel mare in burrasca. Fuor di metafora: una governance che preveda una gestione concentrata in un solo soggetto (normalmente l’imprenditore, spesso abituato a gestire l’azienda con un’ottica espansiva), è decisamente anacronistica nonché pericolosa nel contesto che stiamo vivendo.

Con l’affiancamento all’imprenditore di un team di uomini d’ordine, l’azienda dovrà essere dotata di un irrinunciabile sistema di controllo di gestione di assoluta efficienza, che consenta di percepire real time le correzioni di rotta da eseguire.

Se questo processo è realisticamente percorribile in un’azienda in ristrutturazione, sarebbe giusto offrirle la possibilità di sopravvivere alla crisi che stiamo attraversando.

Il decreto avrebbe, allora, potuto contenere delle misure specificamente indirizzate a queste imprese, prevedendo dei meccanismi di analisi approfonditi ed una garanzia a copertura di una percentuale più contenuta del finanziamento, responsabilizzando maggiormente il creditore istituzionale.

Se non saranno varate nuove misure specifiche, delle quali ad oggi non c’è alcuna discussione avviata, il tema si porrà interamente e prepotentemente ai creditori di queste aziende: alle banche e, soprattutto, a tutti quegli operatori che nel passato recente si sono proposti come gestori specializzati di aziende in crisi, rilevando con varie modalità portafogli crediti di tali imprese.

Saranno ora loro a dover valutare, con la massima attenzione e velocità, a quali aziende assicurare il sostegno finanziario (che probabilmente, nella maggior parte dei casi dovrà essere nella forma di equity o quasi-equity) necessario a sopravvivere ed evitare il loro rapido scivolare verso degli inevitabili default.

Gli ambiti di azione degli organi amministrativi delle imprese, in attesa di ulteriori ed auspicabili interventi del Governo, dovranno essere basati su:

  • Back to basics (ritorno ai principi fondamentali di gestione) e grande importanza alla gestione finanziaria di breve- medio periodo (cash is king);
  • Performance: flessibilità finanziaria ed efficacia operativa (nel senso di dover monitorare attentamente la catena della supply chain e dei costi interni dell’impresa);
  • Strategia di breve e medio lungo termine in grado di tenere conto dei diversi scenari (base, pessimistico ed ottimistico);
  • Cabina di regia aziendale per la gestione, di breve e medo termine, della “crisi” in corso;
  • Leadership e Team: rapidità e consenso nelle decisioni e condivisione delle stesse con la prima “linea” manageriale delle imprese

In questo periodo di incertezza e rischio, da una parte, e di azioni di mitigazione, dall’altra, è necessario implementare un efficace “cruscotto di controllo” aziendale nonché elementi di controllo di gestione che consentano un’ appropriata pianificazione (piani aziendali) il cui core deve essere, innanzitutto, la resilienza aziendale.

Questa drammatica situazione venutasi a creare negli ultimi tempi ha portato, inoltre, ala prevedibile decisione del legislatore di stabilire lo slittamento dell’entrata in vigore dell’intera riforma del Codice della Crisi non prima di settembre 2021 (come suggerito, fra gli altri, da Confindustria e CNDCEC).

In attesa di provvedimenti governativi in aiuto alle aziende con crediti bancari classificati UTP, il piano industriale, economico e finanziario “revised” (alla luce della pandemia COVID-19) deve risultare a tutti gli interlocutori (esterni ed interni all’impresa) credibile, ossia contenere proiezioni patrimoniali, economiche e finanziarie e sottese assunzioni assolutamente solide ed affidabili.

Tale piano di sviluppo/risanamento futuro dovrà essere accompagnato da un action & deployment plan che indichi chiaramente, in un arco temporale sia di breve che di medio termine, le azioni manageriali in corso e le capacità di implementazione.

Note:
  1. Svimez, L’impatto economico e scoiale del COVID-19: Mezzogiorno e Centro Sud, 9 aprile 2020[]
  2. Banca d’Italia, Circolare n. 272 del 30 luglio 2008, 12° aggiornamento del 17 settembre 2019[]
  3. Ci si riferisce, in particolare, al Paragrafo 145 (b) dell’Annex della Commission Implementing Regulation (EU) n. 80/2014[]
Senior Advisor presso PMD | Altri articoli Autore

Incaricato di Finanza Aziendale presso l’Università Bocconi di Milano e docente in Master di I e II livello in diversi Atenei nazionali.
E’ Visiting Research Fellow at the Lincoln University (UK).
Presidente del Comitato Tecnico ANDAF Financial Reporting Standard.
Partner fondatore dello Studio Mottura Tron – Dottori Commercialisti Associati e Senior Advisor di PMD.

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Ha ricoperto il ruolo di consigliere di amministrazione per diverse società, sia industriali che finanziarie.
Post fusione con Unicredit ricopre dapprima il ruolo di Responsabile Structured Finance per poi occuparsi, dal 2012 di Restructuring con la responsabilità della clientela Corporate. Lascia il settore bancario nel luglio 2019 per iniziare un’attività consulenziale e da settembre dello stesso anno è Senior Advisor di PMD.