Quest’articolo fa parte della serie “LA VERSIONE DI Zeta“
Alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno elaborato in queste settimane misure finanziarie di dimensioni così rilevanti da essere definite “Bazooka”. Un semplice virus, un microrganismo che nella sua infinitesimale dimensione ha reso vulnerabile il sistema economico mondiale facendo vacillare in pochi mesi molte delle nostre convinzioni, ha pertanto originato una situazione così grave che ha suggerito l’immagine di un’arma dalla capacità di fuoco così potente.
Queste ingenti risorse sono fondamentali per la sopravvivenza di tante imprese che stanno attraversando una crisi epocale ma, lasciando inalterato o addirittura innalzando il livello di indebitamento, potrebbero non bastare a risolvere i problemi di quelle realtà poco capitalizzate, che stanno intaccando significativamente il proprio patrimonio a causa delle perdite. In ogni caso, il ripristino delle potenzialità produttive e finanziarie precedenti alla crisi non è di per sé sufficiente ad assicurare il raggiungimento dei livelli di fatturato e di redditività conseguiti in passato, che potrebbero essere influenzati dai mutamenti di scenario causati dall’epidemia. Infatti, non si deve dare nulla per scontato dopo una calamità come quella che l’umanità sta vivendo. Negli scorsi giorni ho condotto con familiari e amici un mio personale sondaggio che non può e non vuole ovviamente avere valore statistico o sociologico; la quasi totalità delle persone interpellate ritiene che terminata l’emergenza, tutto ritornerà come prima. È probabile che ciò accada, ma a mio avviso non si può escludere che, sia pur inconsapevolmente, il comportamento e i bisogni delle persone si possano modificare. È quindi doveroso domandarsi se e come il nostro modo di pensare, di vivere e di lavorare cambierà alla fine di questa crisi.
Come non andare con il pensiero alla scena del film “L’attimo fuggente” in cui il Prof. Keating, salendo in piedi sulla cattedra, affermava che “bisogna sempre guardare le cose da angolazioni diverse (….) È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva. Anche se può sembrarvi sciocco o assurdo ci dovete provare”. È questa una regola d’oro da seguire in ogni circostanza e a maggior ragione in un quadro di forte incertezza come quello che stiamo vivendo.
Quindi non è sciocco o assurdo porsi dei dubbi e chiedersi cosa lascerà in eredità questo periodo. Le condotte individuali rimarranno immutate o le persone rivedranno la propria scala di valori e le proprie priorità? Si vivrà “Carpe diem” o si progetterà la propria esistenza su un orizzonte più ampio? All’angoscia e alle privazioni di questi mesi seguirà la voglia di dimenticare e di divertirsi o si reagirà con una mesta compostezza? La tecnologia assumerà un ruolo ancora più rilevante in ogni ambito del vivere umano oppure sarà in parte ridimensionata da un accresciuto desiderio di rapportarsi con il prossimo? Le vendite on-line e i grandi centri commerciali si imporranno definitivamente sui piccoli esercizi commerciali o questi ultimi riacquisteranno vitalità grazie alla riscoperta di un senso di appartenenza alla collettività di prossimità? La marcia riprenderà ignorando i segnali della natura e gli avvertimenti degli scienziati o la sostenibilità ambientale diventerà finalmente un tema centrale della nostra Società?
La somma delle risposte che ogni individuo darà a queste e a tante altre domande determinerà gli orientamenti del mercato, confermando quelli passati o affermandone di nuovi. Conseguentemente, potrà consolidarsi uno spinto consumismo basato sul superfluo oppure potrebbe fare breccia una richiesta di beni e servizi volta a soddisfare i bisogni di crescita e di arricchimento umano. Le imprese dovranno pertanto cercare di capire tempestivamente eventuali cambiamenti e realizzare un adeguato riposizionamento strategico. Quelle più pronte acquisiranno un importante vantaggio competitivo, altre rimarranno comunque in scia e alcune infine usciranno dal mercato. Il compito, in un contesto così incerto, è ancora più arduo del solito e l’esito per ciascuna di esse dipende ovviamente da numerosi fattori. Non interrogarsi per elaborare un proprio pensiero su quanto sta accadendo e sui conseguenti sviluppi è però l’unico errore che non deve essere commesso.
Tuttavia, non sono solo i cambiamenti del mercato che devono indurre le aziende a un’attenta riflessione. Alla luce del nuovo contesto dovrà essere riconsiderata la validità degli attuali processi produttivi e modelli organizzativi. In particolare, dovranno essere rivisti quelli adottati in passato con l’obiettivo di sfruttare le opportunità derivanti dalla globalizzazione senza valutarne però appieno i rischi connessi. Un singolo evento, infatti, ha messo in ginocchio l’economia mondiale a causa della fitta catena di relazioni commerciali e produttive che caratterizza questo sistema globale. Nessun settore è immune, anche quelli in apparenza meno esposti alla congiuntura; ne è prova la difficoltà incontrata nel raccogliere la produzione ortofrutticola a causa dell’assenza dei braccianti stranieri rimasti nei paesi d’origine. Ci si deve allora chiedere se hanno ancora senso ed eventualmente in quale misura quei principi organizzativi finalizzati alla massimizzazione del profitto che si sono diffusi negli ultimi decenni, diventando talvolta delle vere e proprie mode; si pensi ad esempio alla delocalizzazione, per rimanere in tema di globalizzazione, ma anche all’outsourcing o al lavoro in open space. Per essere concorrenziali, è dunque necessario guardare alla propria organizzazione con un’ottica diversa al fine di individuare e trarre vantaggio dalle potenziali aree di efficienza dopo averne soppesato i sottostanti elementi di rischio, liberi da schemi preconcetti e vagliando anche soluzioni differenti da quelle sin qui seguite.
In conclusione, l’iniezione di liquidità che sta per essere immessa nell’economia rappresenta il carburante necessario per ripartire dal porto in cui la tempesta ha costretto le imprese a fermarsi, ma sarebbe un errore confidare solo sul sostegno finanziario senza interrogarsi su qual è la direzione da prendere e senza attrezzarsi adeguatamente per il viaggio. Per affrontare al meglio il mare aperto, le aziende devono quindi disegnare la propria rotta in accurati Piani strategici, industriali e operativi che tengano conto delle variabili in gioco, senza fare l’errore di basarsi sulle certezze del passato, ma costruendo piuttosto il futuro sugli interrogativi che ci propone il presente.
Laureato in Economia e Commercio presso l’Università La Sapienza di Roma, è Dottore Commercialista e Revisore Legale.
A fine 2015 ha fondato la PMD di cui è Presidente.
Ha svolto, con responsabilità crescenti, il ruolo di CFO e altri ruoli manageriali di rilievo in alcuni importanti Gruppi del Paese: Telecom Italia, Finmeccanica, Poste Italiane, ILVA.